Il progetto (RI)parO (gennaio-dicembre 2014) realizzato dall'Osservatorio di genere in collaborazione con la Regione Marche e il comune di Macerata ha l'obiettivo:

  • di riconsiderare e rivedere le politiche di genere in un'ottica di superamento teorico dello strumento delle pari opportunità e della ricaduta che esso ha avuto nelle politiche regionali;
  • di promuovere la valorizzazione del potenziale femminile oggi presente nel mondo del lavoro a partire dalla correzione dei gap di genere in esso agenti;
  • di predisporre prassi operative più efficaci alla luce dei risultati valutativi ottenuti

Gli strumenti metodologi del Progetto (RI)parO:

  1. Analisi Quantitativa:
    • questionario per il mondo del lavoro dipendente – settore tessile-calzaturiero elaborato in collaborazione con le tre sigle sindacali;
    • questionario semistrutturato per l'imprenditrici agricole elaborato in collaborazione della Coldiretti.
  2. Analisi Qualitativa: le imprese al femminile e i focus group

Sono stati raccolti n. 394 questionari e, in collaborazione con la CNA, sono stati realizzato 3 focous group (ad Ancona, Matelica e Ascoli Piceno) con il coinvolgimento di un totale di 20 imprenditrici.

Tutta l'attività di gruppo è stata sottoposta a registrazione audio.

Presentiamo qui alcuni dei risultati emersi dall'analisi dei dati raccolti. Tutto il materiale prodotto sarà poi pubblicato in un e-book di prossima pubblicazione.

Cosa emerge dall'analisi dei dati raccolti grazie ai questionari tra le lavoratrici del settore tessile-calzaturiero?

In collaborazione con le tre sigle sindacali (CGIL-CISL-UIL), sono state intervistate lavoratrici dipendenti (operaie generiche, qualificate e impiegate). Una prima riflessione riguarda la formazione intesa per lo più come funzionale al lavoro che le donne intervistate già svolgono: infatti il 26% di queste afferma che vorrebbe acquisire una formazione specifica per migliorare la mansione svolta; l'11% che vorrebbe acquisirla per ottenere un aumento salariale e solo il 4,10% per ottenere un avanzamento di carriera; ben il 23% dichiara invece di non avere tempo da dedicare alla formazione e il 12,8% dichiara che sarebbe inutile mentre il 5,6% non risponde (tabella 4).

Il dato è tendenzialmente polverizzato ma possiamo dire che le donne che non vorrebbero acquisire una formazione specifica (comprese quelle che non hanno risposto) sono il 41,4%. Incrociando questo dato con quanto emerge dalle risposte alla domanda “Qual è il maggior riconoscimento ricevuto in azienda?” si ottiene un quadro non propriamente positivo del rapporto di queste lavoratrici tanto con l'ambiente di lavoro tanto con la direzione dell'azienda in cui lavorano. Infatti, il 48% delle lavoratrici risponde di non aver mai avuto nessun riconoscimento; il 19% di aver avuto un riconoscimento per la correttezza dimostrata con le/gli colleghe/i; l'11% di aver avuto un riconoscimento per la propria bravura e precisione (doti anche molto femminili, a volte purtroppo stereotipizzate); l'11% di aver ottenuto un aumento salariale e il 7% di aver avuto un riconoscimento per aver rispettato i tempi di produzione (tabella 1).

 

Il tasto dolente riguarda sicuramente la conciliazione: il 23,3% delle donne intervistate dice di non aver mai utilizzato nessuno strumento di conciliazione. Mentre il 36% delle lavoratrici dice di aver utilizzato uno strumento “tradizionale” e tipico di una fase potremmo dire “pre-politica di conciliazione” e cioè i permessi, solo l'8% di esse dichiara di aver utilizzato il part-time e il 12,4% il congedo parentale. Pochissime lavoratrici hanno scelto l’opzione di risposta "Lavoro a distanza" che invece potrebbe rappresentare in molte aziende una formula efficace di allontanamento dal posto di lavoro (tabella 2).

Nonostante l'impegno sul fronte della conciliazione da parte delle istituzioni (si pensi ad esempio al Protocollo d’Intesa “Per la promozione di azioni positive volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” siglato il 5 febbraio 2014 dall'Assessore ai Diritti e alle Pari Opportunità Paola Giorgi e dalle tre sigle sindacali, dalla CNA, da Confindustria e altre organizzazioni datoriali) il sostegno maggiore alle donne che lavorano arriva da Coniuge/convivente (32,7%), dai Genitori/suoceri (24,2%), o genericamente dai familiari (11%). Il 21,3% delle donne intervistate risponde di non avere nessun tipo di aiuto, solo il 3% ricorre alle strutture pubbliche per conciliare vita familiare e vita professionale e il 3,6% a strutture private. Lo scarso utilizzo dei servizi (sia privati che pubblici) evidenzia due tendenze: la prima di scarsa diffusione e la seconda di scarso utilizzo che la crisi economica ha purtroppo accentuato (scoraggiamento) degli strumenti di conciliazione (tabella 3).

Infatti, questi dati se letti insieme con quelli del Rapporto annuale Donne, lavoro e maternità pubblicato dalla CGIL nel 2014 secondo cui dei 643 lavoratori/lavoratrici che si erano dimessi “volontariamente” nel primo anno di vita del bambino ben 573 erano donne, ci dicono che nel nostro Paese la maternità si traduce ancora nella fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro e che purtroppo il peso della conciliazione è ancora fondamentalmente percepito come un “affare” di sole donne. Inoltre, per molte donne marchigiane a causa della crisi economia, dei contratti atipici, dei bassi livelli retributivi risulta più conveniente lasciare il lavoro per accudire la famiglia e i figli che restare nel mondo del lavoro e ricorrere a servizi (pubblici o privati) in assenza di una rete familiare di sostegno. 

L'ultimo spunto di riflessione riguarda il tema della discriminazione su cui il 43% delle lavoratrici dichiara di non avere gli strumenti per rispondere. Analizzando i dati comunque si evince, oltre alla necessità che istituzioni e sindacati continuino a monitorare e a predisporre efficaci campagne divulgative di prevenzione, la permanenza di discriminazioni che riguardano l'avanzamento di carriera (11%), la retribuzione (7,3%), la richiesta del part-time (7,3%), la ricerca di lavoro (7%), la conciliazione (5,9%). Più del 12% dichiara di non aver mai subito discriminazioni ma di essere a conoscenza di colleghe che le hanno subite o vittime di episodi discriminatori (tabella 6).

In sintesi:

1. Formazione: si investe pochissimo nel settore della formazione. Non solo la maggior parte delle intervistate dichiara di non aver preso parte a corsi di formazione negli ultimi due anni ma afferma di non avere tempo da dedicare alla formazione (tabelle 4-5)
2. Conciliazione: c'è poca o nessuna conoscenza degli strumenti di conciliazione: pochissime li conoscono e quasi nessuno ne ha fatto uso (tabella 2)
3. Famiglia: per conciliare vita professionale/vita familiare l'aiuto maggiore arriva dalla famiglia e dalla rete familiare (tabella 3)
4. Discriminazione: deficit di conoscenza/coscienza sul tema. La maggior parte delle donne intervistate non ha un'idea in merito (tabella 6).

 

Cosa emerge dall'analisi dei dati raccolti grazie ai questionari tra le imprenditrici agricole?

Nel settore agricolo ad essere state intervistate invece sono state le imprenditrici. In questo caso il lavoro è stato realizzato in collaborazione con la Coldiretti che ci ha aiutate ad individuare aziende realmente a conduzione femminile. L'analisi dei dati ha fatto emergere una realtà molto vivace soprattutto laddove a capo dell'azienda vi è una donna di una età compresa fra i 30-40 anni. Il questionario semi-strutturato che abbiamo presentato alle imprenditrici aveva essenzialmente l'obiettivo di indagare l'identità professionale, il ruolo della donna all'interno dell'azienda, le strategie di conciliazione e come nel caso del questionario alle lavoratrici dipendenti il tema della discriminazione. Se è vero che per il 27% delle imprenditrici la scelta di lavorare in agricoltura è stata fatta per continuare l'attività di famiglia, per il 48% ha rappresentato una opportunità mentre per l'8,1% è stata una necessità dettata dalla crisi. Il 2,8% rispondendo “altro” ha definito il lavoro in agricoltura “Una sfida”.

 

 

Alla domanda su quale sia la percezione di una donna alla guida di una azienda agricola il 48,6% risponde di non essersi mai posta il problema. La risposta è da valutare in senso positivo. Non essersi posta il problema si allinea con un potere spesso nato in modo accidentale, ma che poi rileva una fortissima passione, una scelta che viene da capacità. La seconda opzione di risposta, “Come quella di un uomo: contano le capacità” aggiunta quasi come una sfida ha accolto molti consensi (35%), e mettono in evidenza quanto il merito e le capacità contino quando si tratta di guidare un'azienda.

 

 

Un dato sorprendete sebbene frammentato è quello che emerge dalle risposte che riguardano l'identità professionale: l'identikit è quello di una donna innovatrice (26,5%), pratica (24,4%) e creativa (20,4%); una donna attenta alla operatività, al pragmatismo e insieme all’elemento dell’innovazione che poi è legato alla passione per il lavoro.

 

 

Alla domanda su quali siano le criticità che una donna incontra nell'aprire e nel condurre un'azienda agricola emerge chiaramente che le maggiori difficoltà sono di tipo economico (81%): questo dato conferma ciò che già è emerso da altre ricerche sulle imprese femminili circa le differenze di opportunità di genere in ambito finanziario (si pensi ad esempio alle richieste di garanzie rivolte più alle donne che agli uomini, un minor accesso al credito per impresa individuale femminile, tassi di interesse più elevati). Paradossalmente queste criticità permangono in un momento in cui le statistiche ci dicono che aumentano le donne imprenditrici e titolari di imprese così come aumentano le donne che percepiscono stipendi più alti degli uomini.

 

 

Così come emerge dall'analisi condotta nel settore tessile-calzaturiero, anche nel caso delle imprenditrici la conciliazione non c'è e se c’è non passa attraverso il congedo parentale (8%), strumento poco vicino alle dinamiche delle imprese femminili: il 56% delle imprenditrici dichiara di non aver utilizzato nessuno strumento di conciliazione e solo il 16,6% risponde di aver utilizzato il part-time e il 10,4% gli orari flessibili. Di nuovo a sostenere le donne nel compito di conciliare sono il coniuge/convivente (63%) e i genitori/suoceri (20%). Ancora una volta è la famiglia a permettere la conciliazione tra vita professionale e vita familiare. Questa tendenza sottolinea una scarsa rete sociale allargata di supporto e che a nostro avviso si lega anche alla scarsa diffusione nel nostro territorio di progetti che sostengano tempi di vita diversi per spazi di sostegno e di supporto tra cittadini/e (complesso “imprese-famiglie-associazioni”).

 

 

 

Per quanto riguarda la discriminazione, il dato “Non so rispondere”, così come per le dipendenti, è maggioritario (74%). Abbiamo introdotto il “Non so rispondere” per dare possibilità di espressione ad una tendenza che ci sembrava esistere e in effetti appare evidente che il concetto di discriminazione è poco conosciuto nel suo significato e di conseguenza nei suoi effetti.

 

 

In sintesi:

1. Formazione: grande attenzione. La formazione è intesa o comunque percepita come necessaria per sviluppare l'azienda e migliorare la qualità del prodotto
2. Conciliazione: c'è poca o nessuna conoscenza degli strumenti di conciliazione: pochissime li conoscono e quasi nessuno ne ha fatto ricorso (tabella 11)
3. Famiglia: per conciliare vita professionale/vita familiare l'aiuto maggiore arriva dalla famiglia e dalla rete familiare (tabella 12)
4. Lavoro: il lavoro agricolo è sentito dalla maggior parte delle donne intervistate come un'opportunità (tabella 7) e le donne in agricoltura vengono descritte come innovatrici (tabella 9)
5. Discriminazione: deficit di conoscenza/coscienza sul tema. La maggior parte delle donne intervistate non ha un'idea in merito (tabella 13).

 

Cosa emerge dai focus group?

Dai focus group organizzati in collaborazione con la CNA in provincia di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno emerge che c'è una grande attenzione alla formazione che è intesa o comunque percepita come necessaria per sviluppare l'azienda e migliorare la qualità del prodotto. Le imprenditrici artigiane che hanno partecipato ai focus confermano le tendenze emerse dai questionari: la conciliazione non c'è e l'aiuto maggiore arriva dalla famiglia e dalla rete familiare. Quando questa rete manca l'azienda diventa spesso il luogo in cui crescere i figli.

La criticità su cui le imprenditrici insistono riguarda la mancanza di tutele e la necessità di intervenire con delle misure pensate su misura per le imprenditrici soprattutto per quanto riguarda la maternità e la malattia.

Per tutte le donne con cui abbiamo parlato appare evidente che la malattia e molto spesso anche la maternità sono percepite come “invalidanti” poiché tengono la donna lontana dal luogo di lavoro.

Sul fronte della discriminazione, così come per le imprenditrici agricole, essa viene percepita soprattutto da un punto di vista economico. Le difficoltà più grandi si riscontrano nell'accesso al credito e nel rapporto con le Banche. Viene sempre richiesta la garanzia del padre/marito.

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