Studi postcoloniali e strategie di fuga. Il caso dello sdiib nella diaspora somala
L’intervento analizzerà l’assunto di Aimé Cesaire che, nel Discorso sul colonialismo, interpretava le barbarie del nazismo come estensione anche in Europa dei mezzi usati dal colonialismo. I Postcolonial Studies hanno avanzato importanti interrogativi sul passato coloniale, operando la decostruzione della memoria ed interrogandosi sulla possibilità dei subalterni di parlare. Se, come ipotizzato da Franz Fanon, lo spazio-tempo della modernità corrispose con quello del colonialismo - che si impose attraverso la coercizione e la violenza – ci si deve domandare quali siano stati i confini tra egemonia e alterità. I limes coloniali vennero definiti dall’interno della società occidentale, con un meccanismo di costruzione culturale dell’altro (come precisato anche in Orientalismo di Edward Said). Attraverso lo studio della lingua è possibile identificare una strategia di fuga dai dispositivi di segregazione territoriale. In particolare lo studio della letteratura prodotta degli autori e delle autrici provenienti dalle ex colonie italiane, quindi parte di una memoria condivisa e di un discorso culturale intersoggettivo, può concorrere a definire quali siano stati i canoni di esclusione, di identità e di differenza sia per i colonizzati, che per i colonizzatori. Nel caso della Somalia uno dei termini chiave per la lettura e l'interpretazione della diaspora è certamente sdiib, che potrebbe essere grossolanamente tradotto in italiano con “richiesta di status di rifugiato”. In realtà il sdiib è una strategia d’ingresso in Europa e in Occidente che, a completamento di un viaggio pericoloso iniziato nel Sahara e continuato lungo le coste libiche, modifica profondamente la condizione e l’identità del soggetto. I dispositivi di contenimento del sdiib non sono solamente legali, ma anche di reclusione (carceri libiche) e di esclusione (invisibilità, clandestinità).